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Se credi di essere intelligente allora devi leggere questo articolo.
Nel 1967 fu pubblicato in Italia il volume del sociologo canadese Marshall McLuhan “Understanding Media: The Extension of Man” (io ho questa versione con la prefazione di Peppino Ortoleva). Questo personaggio, definito poi guru della comunicazione, sosteneva che un giorno la tecnologia sarebbe stata un’estensione del nostro corpo e che – anzi – lo stava già facendo dalla notte dei tempi.
A detta di questo luminare la parola parlata è (stato) un media. Scopriamo grazie a McLuhan che linguaggio ha fatto con l’intelligenza ciò che la ruota ha fatto con il corpo o più precisamente con i piedi : ha estenso l’uomo, lo ha fatto progredire, lo ha trasportato in avanti. Per il visionario autore, i media sono metafore, questo termine di derivazione greca – metaphérein – significa trasportare e dunque nella fattispecie trasformare mittente, ricevente e messaggio.
Quello che accade guardando la televisione, per citare un esempio concreto, è una trasformazione della nostra esperienza. Mentre siamo davanti allo schermo in realtà non restiamo fermi, ma viaggiamo – grazie anche al nostro retaggio culturale – vivendo un’esperienza multisensoriale.
Ora, dove voglio andare a parare? Voglio soffermarmi sulle critiche sollevate dai più nei confronti del mezzo televisivo e/o dei nuovi media e dei loro contenuti.
Molto spesso abbiamo sentito la frase “da quando c’è la TV la gente non comunica più” o ancora “lo smartphone ha ucciso la comunicazione”. Questa convinzione è sbagliata! Perché?
Perché non è cambiato nulla, o meglio, è cambiata la natura dello scambio simbolico.
Mi spiego.
Al principio gli uomini si servivano dei simboli per comunicare. Ve le ricordate le caverne dell’Homo erectus tutte imbrattate? Roba che se adesso vedi un ragazzetto che disegna sui muri chiami il sindaco Nardella per il placcaggio. Per molti secoli la comunicazione ha generato uno scambio tra individui che conoscono lo stesso codice e nel passato (solo? ne siamo sicuri?) questo era uno strumento di potere in mano alle istituzioni politiche, religiose e scolastiche.
La connessione esistente tra i mezzi di comunicazione oggi diventa un sistema unico. Questa tesi, nell’ambito dei media studies, prende il nome di Convergenza.
La potenza dei media e dunque della comunicazione in generale sta nel fatto che essi diventano una istituzione accanto a quelle tradizionali poiché, oltre a veicolare un contenuto simbolico e una realtà oggettivata, determinano un regime totalitario – un Big Brother – che prende il comando delle menti e allo stesso tempo si fa condizionare dall’esterno in un do ut des continuo. La verità espressa dai media non richiede alcuna dimostrazione, essa esiste a prescindere perché si adatta alle varie piattaforme distributive incarnandosi secondo le regole della convergenza.
La Convergenza non è un processo nuovo, ma come abbiamo già visto, esiste da sempre.
I media (considerando la parola parlata) si sono sempre sovrapposti mescolati e ibridati e se un tempo estendevano il nostro corpo ora creano degli ambienti, delle vere e proprie case entro cui realtà e finzione convergono.
Non facciamo l’errore di considerare questo fenomeno alla stregua di un cambiamento tecnologico: noi siamo tecnologia, il mutamento lo viviamo insieme. Non consideriamolo un punto di arrivo, ma un processo in continua evoluzione.
Pensateci bene: prima il libro veniva stampato e l’unico modo per accedervi era la lettura: serviva la vista. Ora un libro può essere letto ed ascoltato, gli audiolibri e i podcast li conosciamo tutti vero? Dunque il testo scritto assume diverse declinazioni e viene condiviso seguendo le regole della convergenza.
Quindi il nuovo modo di comunicare non ha disunito, a dirla tutta ha fatto un’opera di inclusività (tipo opera di bene). Siete d’accordo?
La digitalizzazione ha semplificato l’accesso all’uomo permettendogli di interagire in qualunque tempo e modo con diversi contenuti multimediali interconnessi tra loro.
Mi piace poter utilizzare la domanda di Miranda Priestly ne Il diavolo veste Prada a proposito del maglione “ceruleo” di Andy: “Tu pensi che tutto questo non abbia a che fare con te?”.
Scrivilo nei commenti, se ti va.
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